Quattro donne di diversa nazionalità raccontano il loro arrivo e perché vivono all’Esquilino
(Numero 4 – Bimestre nov-dic 2015 – Pagina 6)
Sono arrivate spinte dal desiderio di conoscenza e non per motivi economici o per fuggire dalla guerra. Le quattro donne che abbiamo incontrato raccontano storie diverse, tutte, però, vissute nel rione Esquilino. “Sono venuta grazie all’aiuto di un mio zio – racconta Gloria del Perù – per sperimentare un’altra vita, per conoscere altre persone. All’inizio vivevo all’Olgiata, grazie ad alcuni parenti siamo ci siamo trasferiti all’Esquilino che è un rione centrale. Ora sono 15 anni che vivo in Italia”. Sadia, invece, è somala. All’inizio non fuggiva ma è partita per scoprire l’Italia. “Ero giovane – dice – , sono venuta per curiosità tramite un mio zio ambasciatore, poi sono rimasta perché in Somalia è scoppiata la guerra. Sono 24 anni che vivo in Italia. Tramite i miei compaesani sono arrivata all’Esquilino dove abito da 11 anni. Mi sono sposata con un egiziano e ho avuto un figlio”. La terza è Fatiha, venuta dal Marocco 15 anni fa a seguito del marito, vive all’Esquilino da 5 anni. Si è trovata bene ma “sente una forte nostalgia di casa e dei suoi genitori”, mentre Anab, sempre dalla Somalia è arrivata a Milano, ospite di una cugina, 30 anni fa, poi si è sposata con un italiano ed è venuta a Roma.
Il lavoro come strumento di indipendenza. “Ho trovato subito un lavoro appena arrivata in Italia – dice Gloria – per le donne è più facile trovare lavoro. Possono fare le badanti, le babysitter, le donne delle pulizie. Mio marito ha avuto più difficoltà”. Fatiha, arrivata all’ Esquilino, ha trovato lavoro come segretaria per l’Associazione dei Genitori della scuola Di Donato, dove insegna anche arabo ad adulti e bambini, mentre Anab non rinuncerebbe mai al suo lavoro di mediatrice culturale: “questo lavoro mi permette di venire in contatto con tante persone di varie nazionalità e mi arricchisce molto”. Il sentimento che hanno tutte e quattro rispetto al lavoro è simile: non solo uno strumento per guadagnare ma anche e soprattutto di indipendenza e crescita personale. Gloria dice: “Penso che il lavoro sia importante per guadagnare un po’ di soldi, ma anche per conoscere persone e avere la possibilità di stare un po’ di tempo fuori casa” mentre Sadia racconta: “è importante lavorare per conquistare l’indipendenza economica e conoscere altri ambienti. All’inizio mio marito non capiva perché volessi lavorare, aveva una mentalità un po’ rigida, ma alla fine ha compreso le mie esigenze. Gliel’ho fatto capire per forza! Gli dicevo: se tu ce la fai a darmi un piatto di pasta, perché io non mi posso comprare un paio di scarpe più belle? I bambini in fondo stanno a scuola parecchie ore e quindi si può andare lo stesso a lavorare!”.
Un rione difficile anche per gli stranieri. L’Esquilino è da loro amato anche perché ci vivono da tanti anni o comunque lo frequentano per via della scuola dei figli. Tutte però lo trovano peggiorato rispetto ad anni fa. “Mi piace l’Esquilino – afferma Gloria – perché è un rione vivace, con gente di vari paesi, però ci sono situazioni che mi mettono un po’ paura. Nel tardo pomeriggio si vedono tante persone ubriache che bivaccano nelle strade intorno al mercato o che dormono all’aperto nella piazza. Mi viene da pensare che molti di loro non hanno voglia di lavorare. Poi forse mancano anche strutture che possano offrir loro un aiuto, soprattutto per trovare un lavoro. Inoltre mancano bagni pubblici e spazi gioco per i bambini. Io ora vivo a Centocelle e mi sembra che sia meno degradato dell’Esquilino, ci sono più parchi giochi per bambini, più pulizia, negozi differenti”. Sadia concorda: “Da 10 anni a questa parte il rione è peggiorato. Prima c’erano molti più negozi italiani, eravamo pochi stranieri e gli italiani ci accettavano di più. Ora che ci sono più stranieri, mi sento più straniera. A volte i negozianti bengalesi non sono cortesi e le merci sono di bassa qualità. Alcuni stranieri che lavorano la mattina al mercato, la sera vengono ad ubriacarsi a Piazza Vittorio dove ci sono molti bambini. Ci vorrebbero più rispetto delle regole per tutti, italiani e stranieri. La presenza delle associazioni come la Caritas – aggiunge Fatiha -, se da una parte aiuta le persone bisognose a non morire di fame, dall’altra favorisce la loro permanenza nel rione. C’era una fontanella a Piazza Guglielmo Pepe dove gli stranieri si lavavano. Per evitare tale situazione l’hanno tolta, cosi adesso le persone non si lavano più e questo forse è peggio”. Anab ritiene ci sia bisogno di luoghi di incontro e di aggregazione, di un controllo maggiore del territorio e più pulizia per le strade. “Mi sembra – sostiene – che facciano più le associazioni spontanee di cittadini che le istituzioni”.
Le seconde generazioni. Tutte e quattro si sentono abbastanza integrate: frequentano nel tempo libero persone del loro Paese o limitrofi ma anche italiani. Soprattutto Anab, facendo la mediatrice culturale, ha avuto modo di frequentare gli italiani di cui è diventata amica. Sentono che le seconde generazioni, i loro figli, sono più integrate rispetto alle prime, non solo nelle relazioni con gli altri bambini e ragazzi, ma anche nella cultura italiana. Li ha sicuramente aiutati frequentare la scuola ‘Di Donato’ che tramite l’Associazione dei Genitori promuove molte iniziative di integrazione culturale. Tant’è che mentre alcune donne come Gloria del Perù e Fatiha del Marocco hanno il sogno di ritornare nel loro Paese, magari anche avviando un’attività commerciale, i loro figli desiderano per lo più rimanere in Italia perché si sentono italiani. I più grandi addirittura pensano che in un futuro potrebbero anche andare in un altro Paese europeo.
Paola Romagna, Maria Grazia Sentinelli