Digestione alternativa’ è il titolo di questo racconto. La prima parte è stata pubblicata nel numero scorso del nostro giornale
(Numero 36 – Bimestre giu-lug 2021 – Pagina 14)
Giù al sottovia Turbigo si sta da Dio. La faccio sul muro della colonna a quattro blocchi dal mio spazio. Sto più rilassato per via di tutta quella roba che ho sganciato. La faccio lì accucciato dietro il posto con scritto ‘Fiat’. Rovisto un po’, conto che niente mi sia rimasto dentro, sciacquo e consegno tutto. È andata. Qui invece a quattro blocchi dal mio spazio posso farci tutte le cose mie, ma non posso tirare fuori la roba da dentro. È l’unico patto con gli altri. Agli italiani gli dà fastidio. Che poi non lo so se sia paura più che fastidio. Quando passano qui sotto, vedi come allungano il passo e si guardano intorno. Gli casca l’occhio tra le grosse colonne, dove qualche cuore tenero c’ha messo dei blocchi di cemento per non farci stare. Ma noi ci stiamo lo stesso. E chi passa capita che ci veda, a me, agli altri e alle ceneri del fuoco quando fa freddo, con tutta l’immondizia intorno. E quasi corrono. Se gli vedessi gli occhi già me li immagino i pensieri: ‘Come sono ridotti questi. Poveracci. Come fanno a vivere così? Fammi sbrigare, va!’. Eh, come facciamo? Come fareste voi al contrario, dico io.
Comunque, da dopo la consegna, ho lo stomaco che fa male e ancora non ho fame. Me l’avevano detto. La fame ti torna quando lo stomaco ti si rimette in ordine.
Ora sto qui seduto tra questi blocchi di cemento sotto al sottovia Turbigo e il rimbombare delle auto mi fa compagnia. La puzza di gas è l’unico vero problema. Quella ti ammazza. Il vecchio che stava qui prima di me c’è morto sotto al sottovia. Ha preso fuoco mentre si scaldava, dicono alcuni. Altri dicono è morto asfissiato per il gas e non s’è più svegliato, io credo a questi qua.
Devo contare i soldi che mi ha dato l’italiano. Lo sa l’italiano che non so contare. Giù a casa quando mi hanno fatto imbottire di roba mi hanno detto: ‘Per te sono duemila se fai le cose a modo. E imparati la lingua’.
L’italiano quando sono arrivato, dopo tutto il viaggio, già mezzo piegato dal dolore, m’ha detto così: ‘Se tutto va bene, per te ci sono cinque banconote blu con scritto venti, cinque come le dita di una mano e due banconote arancioni con scritto 50’.
Tiro fuori i soldi arrotolati che mi ha dato. Quelli arancioni con scritto cinquanta sono due. Apro la mano e sfoglio quelli blu con scritto venti, sono come le dita. Non so se fa duemila, ma quanto m’ha detto l’italiano, tanto m’ha dato. È uno giusto l’italiano, almeno sui soldi.
Ora che sono ricco, mi compro casa.
In Italia con duemila euro ci faccio il re, mi ha detto il tipo che guidava la barca, e cavolo se mi brillavano gli occhi che quasi piangevo. Me la compro qua intorno casa, per non mollare gli altri del sottovia che mi hanno fatto mille feste di benvenuto.
Sento delle sirene avvicinarsi. Gli altri del sottovia Turbigo appena sono arrivato mi hanno detto fottitene delle macchine, ma attento alle sirene. In particolare distingui la sirena dei carabinieri da quella dell’ambulanza. La guida aggressiva della polizia stride di più la gomma sull’asfalto, come quella della finanza; quella dei vigili urbani è più lenta. Poi mi hanno ripetuto, attento alle sirene bello, quando senti le sirene drizzati. Tanto poi passano e sfilano via. Ma drizzati e se si fermano, corri.
Eccole che le sento che arrivano e sono più vicine. A orecchio devono essere di un’ambulanza che ha quella sirena più cantilenata e una, no anzi due, della polizia. Senti come stridono.
Si avvicinano, come tuoni, eh, che quasi ho un brivido. Oh, ma perché si fermano? C’è pure un camion rosso grosso, saranno quelli che spengono il fuoco. Cazzo va a fuoco? mi dico.
Insomma scende un tipo con la pancia comoda, io sto fermo impalato, lui tira fuori un grosso tubo. Ma che fa? Oh questo ha aperto l’acqua. E mi prende in pieno. Dritto sul petto. Mica è l’acqua che ti aspetti, è un getto che è quasi una spinta, ti spinge via e gli schizzi ti pungono. Faccio un passo indietro. Quasi casco, e l’acqua si prende i soldi che avevo in mano. Mi butto a terra per prenderli i miei soldi ma sgorgano via. Mi resta una sola banconota blu con scritto venti. La casa.
L’acqua mi fa male. Il tipo con la pancia comoda spara come se dovesse disinfettare un elefante, l’ho visto fare a casa mia in Africa quando ero piccolo. Una cosa simile, con meno indifferenza. L’acqua sparpaglia tutte le mie cose. E giuro che quello che sta seduto nella macchina della polizia ride. Che cazzo si ride, gli strillo, ma l’acqua quasi mi soffoca.
Ora il pancione sta fisso a sparare. E io sono mezzo nudo, la maglietta l’acqua me l’ha strappata. Mi metto a correre. Penso a quel ragazzo che ho incrociato mentre la facevo e sentivo gli ovuli dentro che uscivano nascosto tra i cassonetti dietro la Fiat. Quello giovane, che mi guardava e io l’ho riguardato. Che pensavo sì, lui non sa nulla di me e io nulla di lui ma io adesso vorrei essere al posto suo mentre corro come lui ma so che non andrò lontano.
Andrea Fassi