Chiara Scioscia Santoro ci racconta l’intervento di restauro nell’ipogeo a Porta Maggiore
(Numero 18 – Bimestre mar-apr 2018 – Pagina 4)
A ripensarci, Chiara Scioscia Santoro ancora si emoziona ricordando il momento in cui ha scoperto di aver vinto, con la sua socia Corinna Ranzi, il bando per il restauro degli stucchi della Basilica sotterranea di Porta Maggiore. “Da una parte – racconta – non ci credevo, dall’altra una vocina mi diceva che era un segno del destino”.
Puoi spiegarci in cosa è consistito il lavoro di restauro?
L’intervento di restauro ha interessato la parete destra della navata centrale e i relativi sottarchi di comunicazione tra la navata centrale e quella laterale destra. Le superfici, interamente decorate a stucco, erano interessate da problemi di distacco dell’intonaco dal supporto, da gravi problemi di decoesione, disgregamento dello stucco, soprattutto in corrispondenza delle figure a rilievo delle spes dei sottarchi, e da uno spesso strato di carbonatazione; concrezione dovuta al percolamento di acque meteoriche a cui in seguito si è aggiunto lo stillicidio dei liquami che fuoriuscivano dai treni fermi al di sopra del sito prima di entrare in stazione. Negli anni ’50 del secolo scorso le Ferrovie dello Stato hanno provveduto a risanare e risolvere il problema, grazie alla realizzazione di una “gabbia” di cemento armato che oggi isola completamente la Basilica dall’ambiente esterno. In questo modo si è risolto anche il dannoso problema delle vibrazioni che si riflettevano sulla Basilica per il continuo passaggio dei treni a poche decine di metri al di sopra della volta.
Le operazioni di consolidamento degli intonaci e ricoesionamento degli stucchi si sono svolte mediante infiltrazione di materiale idoneo all’interno della porosità dello stucco al fine di ripristinare le originarie caratteristiche chimico-fisiche-meccaniche. La rimozione degli spessi strati carbonatici è avvenuta in due fasi: ad un primo intervento di abbassamento delle concrezioni con azione meccanica di microfrese, è seguito un secondo intervento con apparecchiatura laser con il quale è stato possibile rimuovere le tenacissime sovrammissioni senza andare ad intaccare minimamente la superficie originale; questo perché l’azione del laser fa sì che il materiale estraneo venga sublimato lasciando intatta la superficie originale. In questo modo abbiamo mantenuto intatti tutti i segni di lavorazione che gli antichi stuccatori avevano impresso sulla superficie ancora umida per poter modellare, schiacciare, lisciare queste meravigliose figurine che si stagliano sulla superficie bianco su bianco.
Quali sono state le maggiori criticità riscontrate durante il vostro lavoro?
Operare in un ambiente ipogeo non è mai agevole; stare tante ore al giorno a sette metri sotto terra, senza illuminazione solare e con un sistema di aerazione forzata, non facilita il lavoro. Gli stucchi e le decorazioni, quando sono situati in un ambiente sotterraneo, sono facilmente aggredibili dai fattori ambientali circostanti, qualsiasi alterazione di temperatura (T) e umidità relativa (u.r.) comporta l’attivarsi di fenomeni di degrado per l’opera, a volte anche piuttosto gravi. Tra i fattori di degrado più comuni per questi siti – scatenati da una repentina modifica dei valori termoigrometrici, e che negli anni hanno riguardato la Basilica stessa – vi sono, ad esempio, la fuoriuscita di sali dalle murature con il conseguente formarsi di veli bianchi che, carbonatandosi, diventano duri come lastre di vetro, oppure, lo svilupparsi di attacchi biologici di diversa origine e natura a causa delle spore che il visitatore introduce all’interno dell’ambiente. Per far sì che questi fenomeni non si sviluppino, è necessario mantenere stabili i parametri ambientali su valori all’incirca di 87% di u.r. e 17°C di T, valori assolutamente idonei per l’opera, molto meno per l’operatore.
Anche l’utilizzo della strumentazione laser per tanti mesi è stato sicuramente un aspetto critico del lavoro, forse il peggiore: quando si utilizza il laser l’ambiente circostante deve essere schermato con dei pannelli per interrompere le radiazioni ottiche che altrimenti si diffonderebbero. L’operatore deve utilizzare dei dispositivi di sicurezza specifici, deve interrompere spesso il lavoro per far riposare gli occhi e, in teoria, l’ambiente circostante dovrebbe essere ben aerato.
Grazie agli ultimi restauri è possibile gettare una nuova luce sul significato delle raffigurazioni e sulla funzione della Basilica?
Ogni intervento di restauro è, come sosteneva Cesare Brandi, un atto conoscitivo. Quest’ultimo restauro ha senza dubbio aperto nuove strade di lettura del tessuto figurativo ma, soprattutto, ha permesso di rivedere alcune delle teorie sulla storia del monumento, di capire meglio il percorso che la Basilica ha avuto dopo la metà del I secolo quando si pensava fosse ormai in disuso.
Avendovi condotto anche alcune visite guidate, hai riscontrato particolari curiosità da parte dei visitatori?
I due aspetti che maggiormente colpiscono il visitatore sono l’ubicazione di questo edificio, volutamente in ambiente ipogeo, e l’impianto architettonico. Si tratta dell’esempio più antico fino ad ora noto di impianto basilicale di epoca pagana.
In che modo potrebbe essere reso più fruibile questo sito?
La Basilica sotterranea di Porta Maggiore è un monumento unico al mondo per la bellezza delle sue decorazioni, per il suo fascino e per l’alone di mistero che lo circonda; tutto questo al centro di uno dei crocevia più brutti, pericolosi, tristi e degradati della nostra bellissima città. Dunque che dire? I modi per rendere più fruibile e, soprattutto, più decoroso questo sito sarebbero molti, partendo, ad esempio, dal creargli un’area di rispetto che lo isoli dal caos e dalle brutture circostanti. E poi una maggiore pubblicità: gli stessi romani non conoscono la Basilica sotterranea, e la risposta alla mia faccia incredula è il solito luogo comune “…con tutte le cose che c’abbiamo a Roma…!”. E’ vero, Roma è ricca di monumenti che vanno dalla preistoria ai giorni nostri, ma come mai gli stranieri conoscono benissimo la Basilica?
Al restauro di quale altro monumento dell’Esquilino ti piacerebbe lavorare?
Mi sarebbe piaciuto lavorare al restauro del cosiddetto Ipogeo degli Aureli, che si trova all’incrocio tra viale Manzoni e via Luzzatti. Si tratta di un mausoleo a due piani che presenta una decorazione completa di pitture murali, stucchi e mosaici, il tutto a circa cinque metri sotto il livello stradale. Un altro monumento nel quale mi piacerebbe lavorare è il cosiddetto Auditorium di Mecenate. Questo edificio mi è particolarmente caro poiché partecipai al suo restauro molto marginalmente, in pratica come osservatrice, all’inizio della mia formazione di restauratore di beni culturali. In seguito, quando ero già allieva dell’Istituto Centrale per il Restauro di Roma, feci una tesina sul fenomeno dell’alterazione del cinabro (solfuro di mercurio) prendendo come punto di riferimento proprio la stesura a cinabro dell’Auditorium che, per una serie di fattori climatici, si era trasformato in metacinnabarite (di colore nero). So che negli ultimi anni sono stati fatti dei progetti per una sua destinazione d’uso culturale, come teatro o sala concerti, ma non conosco il suo attuale stato di conservazione.
Antonia Niro