Lo scrittore Nicola Lagioia, tornato a vivere all’Esquilino dopo la sua esperienza torinese, ci parla del suo amore per il rione, della forte socialità che lo caratterizza, delle sue potenzialità culturali
(Numero 36 – Bimestre giu-lug 2021 – Pagina 3)
Nel suo ultimo libro ‘La Città dei vivi’ lei racconta perché, dopo il trasferimento con sua moglie a Torino in occasione del suo incarico a direttore del Salone del Libro, avete deciso di tornare a Roma perché vi ‘mancava da morire’ e vi siete accorti di essere legati alla città ‘come un tossico alla sua droga’. Ci può raccontare meglio questo sentimento? Ed Esquilino, dove è tornato a vivere, che ruolo ha giocato in questa scelta?
Quando mi hanno nominato direttore del Salone del libro di Torino mi sono dovuto allontanare da Roma, perché dovevo concentrarmi sul nuovo lavoro e avevo bisogno di stare costantemente sul posto, per conoscere bene la macchina organizzativa che dovevo governare. Torino mi ha dato e continua a darmi cose molto belle, soprattutto occasioni di lavoro importanti. Ciò nonostante, durante il periodo in cui siamo stati fuori da Roma, sia io che mia moglie abbiamo sentito il morso della nostalgia. Ho capito che ero dipendente da Roma, e soprattutto dall’Esquilino, come un tossico dalla sua droga. Cosa era che mi mancava? Senz’altro la facilità della socialità, l’impossibilità di sentirsi soli che qualche volta a Roma può rasentare l’invadenza, d’accordo, ma il contrario sarebbe molto peggio. Soprattutto all’Esquilino il mescolamento continuo delle classi sociali e la multiculturalità mi riempie, mi fa sentire a casa. Anche il nostro gatto, tornando nel rione, ha ritrovato la sua tranquillità.
Come ha trovato, al suo ritorno, il nostro rione, dove continuano a coesistere varie contraddizioni tra la vivacità e ricchezza della vita sociale e il persistente degrado? La risistemazione del giardino di piazza Vittorio le è sembrato un passo avanti?
Ho trovato il rione migliorato. Grande merito a Valentina Cocco, per il modo in cui ha progettato il nuovo giardino di piazza Vittorio. Un luogo in cui, finalmente è stato attrezzato un bagno pubblico. Un luogo in cui la gente, anziché incrociarsi, si incontra, dove i bambini giocano, i ragazzi fanno sport, leggono o si corteggiano. La triangolazione che si è creata tra piazza Vittorio, Santa Maria Maggiore, piazza Dante e Colle Oppio con San Pietro in Vincoli e il suo Mosè, è stupenda, credo che sia uno dei posti più belli del mondo. Quanto al degrado ancora persistente, la situazione è migliorabile ma non tragica. Se una minoranza di emarginati è visibile, non si può certo imputare a loro la colpa della situazione in cui si trovano. Il grado di civiltà delle città si misura proprio con la capacità di occuparsene. In questo le Istituzioni dovrebbero fare di più. Come per altri servizi, come l’accumulo dei rifiuti, la manutenzione delle strade, la partecipazione alla vita pubblica.
Invece di un aspetto, dopo tanti anni, mi devo lamentare. Mi riferisco alla cultura. C’è una porzione di territorio pressoché unica in Italia, e cioè l’area che comprende Monti, Esquilino, Pigneto, Tor Pignattara e Centocelle. In questa porzione di città abitano moltissimi artisti: musicisti, registi, attori, scrittori, montatori, redattori, uomini di cultura. Mi sembra assurdo che le istituzioni cittadine non riescano a valorizzare questo patrimonio incredibile. Si potrebbe realizzare un festival internazionale a Km.0 e a costo quasi zero. Si potrebbero organizzare corsi, lezioni, happening, letture, laboratori, dibattiti, performance. Tutti noi ci daremmo da fare, se chiamati, per esempio, da un assessore alla cultura del municipio, o chi per lui, per realizzare qualcosa del genere. Un posto ideale per dare vita a un progetto potrebbe essere, ad esempio, l’edificio dell’ex Mas. Ci si potrebbe organizzare un centro culturale di livello europeo. In autunno ci saranno le elezioni per il nuovo sindaco: dei candidati minimamente aperti e intelligenti dovrebbero venire qui e ascoltare.
Secondo lei la pandemia ha inciso sulla condizione del rione, sulla vita delle persone e sull’attivismo delle associazioni?
Io credo che Roma abbia reagito bene alla pandemia rispetto ad altre città. Oltre all’efficienza sanitaria e alla gentilezza che ho riscontrato nell’hub della stazione Termini, dove mi sono vaccinato, mi sembra che la città abbia retto sul piano psicologico. Forse perché Roma ha una memoria storica così antica, la città ha già visto crolli di imperi, pestilenze, invasioni, ha sviluppato gli anticorpi sociali e psicologici che hanno permesso la tenuta durante i mesi più duri della pandemia. Anche se siamo tutti molto provati ed affaticati, la città ha mantenuto la sua abitudine alla socialità, una diga fondamentale contro l’estraniazione e la solitudine.
Maria Grazia Sentinelli