Il braccio destro di Feltrinelli si racconta. Dagli esordi alle feste e quei libri disposti “a pila”
(Numero 14 – Bimestre lug-ago 2017 – Pagina 6)
Carlo Conticelli è, oggi, un signore di 84 anni in pensione: lo sguardo vivace, un gran sorriso disegnato sulle labbra e, nella testa, un groviglio di ricordi che, a volte, fa fatica a districare; dalla metà degli anni ’60 e per i due decenni successivi, è stato uno degli animatori culturali più noti della capitale. Dice di sé che nella vita ha sempre fatto il libraio. Nel 1949 a Firenze, la sua città natale, entra come fattorino presso la libreria Le Monnier. Ma non era uno qualunque: lui, quasi quotidianamente, si recava alla Biblioteca Nazionale, per aggiornarsi sui titoli appena usciti, così da poterli proporre e consigliare ai clienti del negozio.
L’incontro con Feltrinelli. Poi, nel 1962, viene a cercarlo Giangiacomo Feltrinelli. “Lui – racconta – entrò in libreria cercando proprio me. Disse di sapere che lì c’era il libraio più bravo d’Italia”. Inizia così una grande avventura. Perché a Roma si produce un’alchimia che, probabilmente, altrove non sarebbe stata possibile. Nel 1964, Carlo apre e dirige per Feltrinelli, del quale sarà il fidatissimo braccio destro per tutta la vita, la libreria di via del Babuino e, in breve tempo, si crea un clima particolare, un nucleo straordinario di interesse, e la libreria diventa il luogo privilegiato di incontro dei più noti personaggi del mondo della cultura, dello spettacolo, della politica. In seguito, aprirà altri due punti vendita, a via Emanuele Orlando e a largo di Torre Argentina, e sarà sempre un successo. Conticelli ci riceve nel suo appartamento all’Esquilino, dove vive con la moglie dall’83. Una casa piena di quadri, fotografie, libri, oggetti, ognuno ha una storia, tutti sono legati ad un qualche episodio della sua vita. Carlo prende alcune foto: lui tra i due fratelli Paolo e Lucia Poli, un ritratto con dedica dell’attore Edward Robinson, ancora lui accanto allo sceneggiatore Ugo Pirro, e le mette sul tavolo, come a cercare in quei sorrisi fissati dall’obiettivo, un bandolo nella matassa dei ricordi.
Carlo, lei ha conosciuto personalmente Giangiacomo Feltrinelli, una personalità complessa, un grande innovatore nel campo dell’editoria, ma anche un uomo che si ritiene abbia fatto scelte politiche estreme. Che ricordo ha di lui?
Giangiacomo è stato soprattutto un gigante dell’editoria. Cercava personalmente gli autori da promuovere. La sua grande opportunità è stata la pubblicazione del dottor Zivago, di cui lui stesso, con l’aiuto di alcuni compagni russi, trafugò il manoscritto. Poi c’è stato il caso del Gattopardo. Era una persona che definirei intellettualmente “elegante”, con idee all’avanguardia, per questo dava fastidio. Forse era entrato in un giro politico particolare, ma eravamo in un periodo in cui era facile trovarsi in situazioni al limite della legalità. Era un momento storico difficile. Abbiamo subito diversi attacchi fascisti in libreria, ricordo quello del 1973. Poi, nel ’78 si scoprì che un nostro dipendente era un brigatista, e fu davvero uno choc per tutti noi: io fui prelevato con la forza, temetti un rapimento e invece era la Digos. Quando Giangiacomo morì, fui interrogato a lungo. Io l’ho conosciuto come uomo e so che era una persona mite, normalissima, un timido. Quando veniva a Roma, la sera si andava a mangiare insieme in trattoria o a ballare.
Come si spiega, negli anni ’60 e ’70, il successo delle librerie Feltrinelli, in particolare quella di via del Babuino?
Bisogna pensare che, in Italia in quel periodo, l’editoria era in forte crescita e il nostro obiettivo divenne quello di portare più gente possibile in libreria. Una peculiarità della Feltrinelli di via del Babuino fu che Giangiacomo introdusse una innovazione in quel momento quasi rivoluzionaria: volle mettere i libri non più solo sugli scaffali, ma anche “a pila”, perché tutte le persone potessero accedere ai testi, sceglierli, toccarli. A questa novità si è aggiunto il fatto che io ho cominciato ad organizzare eventi. Erano feste o incontri, durante i quali gli autori leggevano i loro testi. Ricordo Elio Pagliarani (poeta e critico teatrale, ndr), Alfredo Giuliani (scrittore, poeta e critico, fece parte del movimento letterario Gruppo 63, ndr) e tanti altri. Poi, con l’obiettivo di coinvolgere sempre di più i giovani, mettemmo in libreria il flipper e il jukebox.
La libreria era frequentata da molti esponenti noti del mondo della cultura, del cinema, uomini politici.
Venivano tutti. Un frequentatore assiduo era Federico Fellini. Lui si era innamorato di una commessa e veniva tutti i giorni. Acquistava e leggeva di tutto, anche per trovare idee, spunti per le sceneggiature. Ricordo Walter Veltroni in pantaloncini corti, accompagnato dal padre o Nanni Moretti anche lui giovanissimo. Tutti i grandi registi del momento passavano spesso da noi: Monicelli, Ettore Scola, Luigi Magni. C’erano anche politici: ricordo Spadolini, Napolitano. E quando Pasolini veniva a Roma, dove doveva andare se non da Feltrinelli a via del Babuino? Poi, la sera si andava a mangiare da Cesaretto a via della Croce, o da Sora Rosa e, anche lì, arrivavano tutti, cinematografari, politici, attori.
Cosa pensa delle librerie di oggi?
È tutto diverso. Ai miei tempi, la libreria era un centro di cultura, facevamo una vera alfabetizzazione, sapevamo accompagnare il lettore, consigliarlo, fin dall’infanzia: adesso ci sono ancora i libri “a pila” che ha voluto Giangiacomo, ma nessuno che ti accoglie con vera competenza.
Paola Mauti