Uno strano incontro: una casa piena di libri, un piatto della tradizione e un invito a cambiare strada
(Numero 15 – Bimestre nov-dic 2017 – Pagina 15)
Storia altra si fa chiamare la persona che mi ha invitato a pranzo questa volta, la sua mail dice così. Mi scrive di passare una mezz’ora da lei per assaggiare un unico “piatto completo”. Dice di andare a pranzo, però prima che possa andare a riposare. Abita alle spalle di via Giolitti.
Afa, polvere, semplicità e perfezione. E’ un caldo mercoledì di fine agosto e il nome Storia altra mi solletica. Il rione, striato di sporcizia e siringhe suda più di me sotto i raggi di un sole enorme.
Citofono all’interno 12, quello indicato nella mail. Risponde una voce femminile, anziana. Salgo fino al quarto piano senza ascensore, mi accoglie una vecchina un po’ gobba vestita color crema, intravedo una casa disordinata e piena di roba.
“Salve caro. Io scrivo, sono scrittrice da sempre ma mi conoscono in pochi: scrivo cose che pochi capiscono. Entra, entra. E’ già pronto in tavola, devo andare a riposare così mi sono avvantaggiata con il cibo. Entra, entra”.
“Singolare”, penso. Entro dopo essermi presentato. La casa è tutta una libreria, impolverata, piena di scartoffie ed è immersa nella penombra. Solo un chiaro raggio di quel sole enorme che ho lasciato fuori illumina una tavola imbandita alla perfezione.
“Mangiare è importante”, dice, “Mangiare è vita e non moda quindi la tavola deve essere perfetta e semplice”.
Deve essersi accorta che stavo osservando la tavola, ha ragione penso.
Una domanda insolita. Indica con un dito raggrinzito la finestra, ha una mano piccola, esile con le dita ricurve.
“Incontri, scontri, scambio di opinioni, cuochi in vetrina, nomi e cognomi, fuori da quattro mura hai tutto. Perché vai nelle case della gente, cosa ti importa?”
Nessuno mi aveva mai fatto una domanda simile, mi siedo a tavola dove un unico piatto fa da padrone con accanto del pane casareccio e un bicchiere di acqua.
“Sa, io posso conoscere quello che mi circonda in due modi – le rispondo -. Vivendo o per sentito dire, preferisco la prima soluzione. Poi per questa rubrica ero stanco di girare per ristoranti e così ho fatto un passo in avanti sperando di scovare storie interessanti”.
Un’altra storia per l’Esquilino. Il piatto è davvero un piatto unico, proprio come aveva scritto nella mail. Cicoria ripassata con uno spicchio d’aglio e peperoncino fresco rosso fuoco che avvolge un saltimbocca alla romana e due patate arrosto.
“Si, ma secondo me sei impiccione. Speri di trovare storie interessanti per dire che oggi l’Esquilino è ridotto male e che una volta era meglio. Parlare di un passato che non c’è più dà consenso. Ora se dici “fa schifo” la gente mediocre ti segue, così tu eserciti potere per un tuo godimento e non per una causa nobile, è un approccio sbagliato. Non so se mi piace la tua rubrica sai? Mi piaceva di più prima, forse”.
Ingoio l’aglio per errore. “Perché mi ha invitato?”, penso. I saltimbocca alla romana però sono squisiti, ma le sue parole mi chiudono lo stomaco. La vitella è morbida, deve averla bagnata nel latte, la foglia di salvia infilzata nello stecchino è dorata, probabilmente imburrata prima di essere cotta. La salsa di burro, pepe, sale e vino bianco è densa e succosa, il piatto è perfetto.
“Veramente io cerco ricette che ricordino il passato delle persone che abitano il rione, per me mangiare è un modo di comunicare. E questi saltimbocca sono ottimi. Però non capisco perché mi abbia invitato”. Chiedo.
“Perché tu puoi fare di meglio, secondo me. Alza il tiro, non fare come tutti coloro che nutrìti di presupposti mediocri credono di essere portatori di messaggi importanti. Mangiare è comunicare dici? Allora dì qualcosa di più interessante, cambia strada, racconta un’altra storia di questo rione, in altro modo, e io continuerò a leggerti. O resta mediocre come chi dice che Roma fa schifo”.
Spunti su cui riflettere? Ho la cicoria in mezzo ai denti e non so cosa risponderle. Mi fissa con occhi grigi e rughe grandi, ha i capelli bianchi e fini. Una luce nello sguardo intensa. Finisco il piatto e passo sul fondo una grossa mollica, la famigerata scarpetta.
“Ora vai, devo riposare”.
Mi limito a “Grazie signora, arrivederci”.
Il sole è ancora enorme, forse è il momento per questa rubrica di raccontare un’altra storia tra le strade di questo rione.
Andrea Fassi