Terzo episodio del nostro viaggio gastronomico attraverso i cinque sensi. Il Tatto
(Numero 19 – Bimestre mag-giu 2018 – Pagina 15)
Il nostro palato è un dispositivo raffinatissimo. E mai avrei creduto potessero esserci tante sfumature prodotte dal tatto nella nostra bocca. Meccanismi complessi che conosciamo poco.
Facili da intuire sono l’astringenza o l’untuosità stimolate da un buon bicchiere di vino o una coppetta di panna. Se volessimo complicarci un po’ la vita, e a me riesce sempre bene, aggiungeremmo la cinestesia e la chemestesi. La prima indica quelle sensazioni che si basano sulla sensibilità muscolare dandoci la percezione del duro, morbido, friabile, adesivo o elastico. Vi siete mai rotti un dente mordendo un tozzo di pane? Be’ era un pane vecchio e non avete utilizzato il tatto nel modo efficace. La seconda, la chemestesi, indica le sensazioni di irritazione, di caldo o di freddo. Addentate un peperoncino per fare i gradassi davanti ad una bella donzella? Capita a tutti suvvia! Ecco, a causa della chemestesi nel più probabile dei casi avete fatto una figuraccia. A meno che, come me, non abbiate almeno un quarto di sangue calabrese. In quel caso il piccante più piccante è cosa da fanciulli. O almeno così credevo.
Un’esperienza traumatica. Ero alla fiera del peperoncino a Rieti qualche anno fa. Fiumi di gente tra le bancarelle gremite sotto un sole primaverile. Si faceva la fila per assaggiare le più svariate tipologie di peperoncino proveniente da ogni parte del mondo. Questo prodotto non lo conosciamo come crediamo, eppure ci piace. Il grado di piccantezza ad esempio è misurato dalla scala Scoville e valuta la potenza, in parole povere, del peperoncino analizzato: da zero a due milioni e mezzo per quanto riguarda gli alimenti.
Per un quarto il mio sangue è calabrese, dicevo. Questo bastò per spingermi verso l’apice della scala Scoville sgomitando tra la folla per fare il gradasso. Ho sempre apprezzato bruschette sale, olio e peperoncino fresco. Vivo di peperoncino e del sorriso che porto con me quando lo mangio crudo. Ma non avevo vissuto abbastanza. Nella vita è sempre così.
“Guardi che è molto piccante, dopo questo c’è lo spray urticante che la polizia ha in dotazione”, mi disse un corpulento signore dietro un banchetto con su scritto “Qui il peperoncino più piccante al mondo”. Mi ero fatto spazio a suon di gomitate. “Si, si tranquillo. Sono abituato”. Risposi ingenuo e giovane.
Al tempo il Trinidad Scorpion, che deve il proprio nome alla forma che ricorda il pungiglione di uno scorpione, era considerato il peperoncino più piccante al mondo con un punteggio di circa un milione e mezzo sulla scala Scoville, superato pochi anni fa dal Carolina Reaper. Fu un’esperienza orribile. Addentai lo scorpione rosso fuoco leggermente raggrinzito dal lato appuntito. Per pochissimi istanti non sentii nulla, niente. E subito un ghigno si formò sul mio volto. Pensai, ma figuriamoci, sarà una fregatura. Mi guardavano tutti. Il ghigno qualche istante dopo si trasformò in una smorfia di dolore. Lava incandescente esplose nella mia bocca come se un vulcano avesse eruttato. Si aggiunse poi un forte prurito sui denti, ricordo il desiderio di strapparli uno a uno. Continuavano tutti a guardarmi mentre sputai il pezzetto rosso come un tizzone tra le mani che iniziarono anche loro a bruciare. Il tatto. Stessi recettori sui polpastrelli e in bocca.
Il calore acuto tra lingua e palato non accennava a sparire. La gola, avendo ingerito un bel po’ di saliva, bruciava e non sentivo più i denti, inoltre il piccante a quel livello è immune all’acqua quindi iniziai a spaventarmi.
Per fortuna il signore corpulento, ora trafelato, mi passò un bicchiere di panna fresca. Persino le mani mi bruciavano e temevo ogni movimento per paura di ustionarmi gli occhi che comunque lacrimavano inesorabili per l’irritazione. Il grasso della panna, grazie alla sua untuosità, riuscì a pulire i recettori in bocca e a lenire il dolore solo dopo diversi risciacqui. Ci volle quasi mezz’ora per vedermi sollevato.
Che dire? Un pugno in faccia mi avrebbe fatto meno male.
I giusti preliminari. Come avete già letto nell’episodio dedicato all’olfatto, ora ho imparato ad osservare prima un alimento e poi ad apprezzarne l’odore. Questa esperienza mi ha insegnato anche ad assaggiare con cautela ciò che non conosco.
I sensi non a caso ci appartengono fin dalla comparsa della nostra specie sulla terra, per proteggerci e permetterci la sopravvivenza in un ambiente pieno di rischi. È solo l’epoca moderna che li ha addomesticati mettendoli in secondo piano, arrugginendoli.
Andrea Fassi