Il direttore del museo della Liberazione, Antonio Parisella, ricorda l’impegno per mantenere aperto il luogo simbolo della lotta contro il nazifascismo
(Numero 0 – Bimestre mar-apr 2015 – Pagina 4)
Professore, perché il Museo è stato allestito proprio a via Tasso?
Il Museo fu inaugurato sessant’anni fa, il 4 giugno, dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi e dal Ministro della pubblica istruzione Giuseppe Ermini a seguito della donazione allo Stato, da parte di Josepha Ruspoli Savorgnan di Brazzà, dei quattro appartamenti che avevano fatto parte del carcere nazista annesso al comando della Polizia di sicurezza e del Servizio di sicurezza che avevano sede al civico 155 agli ordini del col. Herbert Kappler.
Potremmo definire il Museo un luogo della memoria?
E’ un luogo di memoria (ma noi preferiamo l’espressione “luogo della coscienza”) nel senso che non è solo un luogo di documentazione e di esposizione, ma un luogo dove le strutture edilizie e gli oggetti di cultura materiale (finestre murate, grate sulle porte, graffiti sui muri delle celle, documenti intrisi con il sangue dei caduti, striscioline di fettuccia e calzini con messaggi, ecc.) sono dirette testimonianze della storia. Non ci consideriamo depositari di una memoria statica ma animatrice di impegni. Qui si è offesa la dignità di circa 2500 persone, tra le quali circa 400 donne. Pertanto, da qui parte un messaggio molto chiaro: impedire che la dignità umana venga offesa anche ai nostri giorni con prigione, tortura, oppressione, violenza, guerra, fame, malattie mortali, deportazioni sui barconi, schiavitù. Non sono tra gli entusiasti del presidente Matteo Renzi, ma mi è piaciuto molto il senso di una sua citazione del musicista Gustav Mahler: “La memoria non significa culto delle ceneri, ma ravvivare il fuoco”. Il fuoco è la passione civile e sociale. E’ quello che, grazie a un gruppo di volontarie e volontari, cerchiamo di fare ogni anno con circa 15.000 studenti e studentesse, non solo di Roma né solo italiani.
L’Esquilino è un rione carico di storia. Qual è il rapporto tra il museo, il rione e i suoi abitanti?
L’Esquilino è un rione dove vivono un gran numero di immigrati e turisti. È ricco di almeno 60 luoghi di cultura – non solo resistenziali – dei quali almeno 40 sconosciuti. Una politica per valorizzarli può offrire lavoro ai giovani oltre a elementi di conoscenza storica e artistica ai visitatori. Se si trasferisse il Museo Nazionale di Arte Orientale sarebbe una perdita gravissima: i figli degli immigrati, che spesso parlano con accento romanesco, vi potrebbero ricercare e conoscere le antiche manifestazioni delle civiltà dei paesi di provenienza delle loro famiglie. Servirebbe per farli sentire partecipi di una civiltà che è fortemente integrata con la nostra. Per questo e per altro, il Museo è disponibile ad ogni genere di collaborazione con le scuole e la fitta rete di associazioni che c’è nel rione.
Antonia Niro, Luisa Corbetta