Un anziano abitante rammenta le sue origini emiliane e gli inizi come sarto nel rione
(Numero 11 – Bimestre gen-feb 2017 – Pagina 15)
“La posso invitare io? Non cucino granché bene eh, ma tra uomini ci si arrangia”. Così Armando, si è presentato in gelateria, con in mano il giornale. Il mio ospite vive all’ Esquilino dal 1972, in una traversa di Piazza Vittorio, dalla parte di via Principe Amedeo. Ho accettato perché lo vedo quasi tutti i giorni e sono riuscito a ritagliare per lui un po’ di tempo. Tempo più che ripagato.
Le mani creano il cibo e non solo. Porto con me del gelato. Armando è un ex sarto e nell’atrio di casa conserva una vecchia Singer, antica macchina da cucire tenuta con totale dedizione e rispetto. L’abitazione è piccola e ricca di libri. Disordinata e calorosa. Armando mi accoglie raccontandomi della sua infanzia poco fuori Ferrara, dei suoi primi lavori manuali per un vecchio fattore e la profonda conoscenza della terra. Mi propone come antipasto una bruschetta di pane integrale fatto da lui, coperto di un lieve strato di burro e qualche alice. Delizioso.
La Romagna in tavola. Il primo, anch’esso preparato completamente in casa, sono i tipici cappellacci alla zucca ferraresi, che in dialetto chiama “caplaz”. Armando mi racconta di aver steso la pasta e cucinato lui stesso il cuore di zucca. Per la pasta semplice acqua e farina. Da sempre, dice, la fa come li preparava sua madre e come i ferraresi incalliti ricordano: 3 uova e 3 etti e mezzo di farina.
Per la zucca ha scelto la nettarina, la conosco anche io perché una volta ci preparai il gelato. Dolce al punto giusto, nel ripieno di Armando è perfetta. Su 400 grammi di zucca, dopo averla cotta in forno, mette 100 grammi di parmigiano grattugiato, aggiunge del pepe, della noce moscata e un uovo. Poi un ingrediente, dice, segreto. A naso mi è sembrata cannella. Davvero buoni. Il tocco di classe è stata la perfetta chiusura dei cappellacci, degna di un sarto, prima di lanciarli nella pentola con l’acqua bollente.
Un ingrediente speciale e un viaggio nel tempo. Armando, chiacchierando, mi confessa di essere esperto di caffè. Mi ricorda quando davanti alla gelateria, qui all’Esquilino, c’era la torrefazione Berardo, ricorda persino che l’odore di caffè si sentiva dal tram e riesce ancora a sentire il sapore del ristretto, che ogni mattina lo accoglieva prima di andare in sartoria. Ed è proprio il caffè uno degli ingredienti della seconda portata: fettine di pollo in salsa di caffè. Inaspettate, buone da morire. “Si bagna la padella di olio e un po’ di acqua”, mi dice. “Poi butta dentro una noce di burro e adagia le fettine dopo averle inumidite nel tuorlo d’uovo e farina. Il caffè mettilo prima che si secchi la padella”. Testuali parole. Sembra uno chef. Sono ottime, davvero ottime.
Un dessert che può essere un arrivederci? Ora tocca al gelato, ma non mi dilungherò, unica nota positiva è che il caso ha voluto che ci fosse il caffè tra i gusti scelti. In abbinamento mi propone un’ottima ciambella ferrarese e un passito del bosco Eliceo. “Spesso la Romagna mi manca” dice. Spostatosi all’Esquilino all’inizio degli anni ’70, per seguire un cugino sarto, si è innamorato del rione e non si è più spostato. Mi regala un po’ di quelle ciambelle e solo in quel momento mi accorgo che ha la fede al dito, ma non mi ha parlato di sua moglie e della loro storia. Chissà se, leggendo l’articolo, gli verrà voglia di raccontarmela davanti ad un gelato al caffè.
Andrea Fassi